Castello Chiaramontano
È forse il monumento più famoso di Naro, la cui storia si identifica con le sue vicissitudini. Si può affermare che il castello è la stessa ragione d'essere della Città, perché senza di esso, forse, Naro non sarebbe stata una realtà, o il suo divenire avrebbe avuto altre manifestazioni.
Il sito fu certamente scelto non solo per le sue caratteristiche di difendibilità, ma anche per quelle connesse con il controllo dell'ampia e ferace vallata. Per cui, sotto gli Arabi prima e sotto i Normanni e i Chiaramonte dopo, il Castello assunse non solo la difesa militare limitata alle esigenze locali, ma anche quello di elemento fondamentale per la struttura e l'organizzazione territoriale di un vasto comprensorio inserito, in altre parole, nel sistema di controllo dell'isola, quale presidio territoriale strategico.
Tale posizione, mantenuta ed accresciuta nei secoli, fece sì che Naro, crogiolo di civiltà, di storia e d'arte, e il suo Castello diventassero teatro di importanti avvenimenti, alcuni dei quali hanno perfino inciso sulla storia dell'Isola. Imponente nel suo profilo di pietra gialla, il Castello sembra vigilare ancora oggi sia sulle vecchie case dell'antico "borgo", quasi accucciate sotto le possenti ali del vecchio Maniero, sia sugli edifici della parte nuova della Città, evocando, immoto testimone, immagini che conservano intatto il sigillo del tempo.
Percorrendo il lastricato della via Archeologica che inizia dirimpetto al convento delle Suore di Carità od ascendendo la spettacolare scalinata completa di n. 156 scalini, realizzata nel 700, antistante il Duomo Normanno, si giunge ai piedi del "Mastio-Dedalico", com'era anche chiamato in epoca lontana, poi detto comunemente dei Chiaramonte, dal nome dell'antica e nobile famiglia che governò Naro per più di un secolo, discendente da Federico Chiaramonte dei Clermont di Piccardia d'Auvergen, che aveva sposato Marchisia Profolio dei Signori di Ragusa e Conti di Caccamo.
Secondo alcuni storici e fra essi Pancrazio, Polieno, Frontino e Placido Palmeri, la sua origine è leggendaria. È collocato nell'età di Cocalo, il mitico re dei Sicani, di cui era la primitiva fortezza. Quel che è certo è che preesisteva alla conquista degli Arabi, che lo ingrandirono e lo fortificarono. Ospitò varie volte Federico II d'Aragona, che nel 1330 vi fece aggiungere la massiccia torre quadrata, alta m. 21 e larga per ogni facciata m. 13, come testimonierebbe lo stemma araldico della Casa Aragonese sul lato occidentale della facciata.
Fu rimaneggiato in epoca chiaramontana, quando Matteo Chiaramonte ottenne la Signoria di Naro. Sembra che nel periodo arabo le dimensioni del castello siano state più estese, fino ad arrivare al Vecchio Duomo, allora moschea, con un ampio circuito di mura che arrivava alla casa del conte Arrigo Rosso di San Secondo, vicino la porta Vecchia e, si dice, che poteva ospitare una guarnigione di otto mila uomini.
Pare che nell'anno 828 sia stata sede dell'emiro Salem, il fondatore di Salemi, messo a governare con mille uomini dall'emiro Abu Dekak, che aveva già conquistato Naro nel marzo dell'828 e nell'anno 829 dall'emiro Abd Allàh el Chalid ben Jshak. Ed, in seguito, dall'emiro Ibn Al Abbas, che talvolta ricusò il denaro e volle piuttosto uomini, (M. Amari, op. cit., pag.175), del Kaid Alì-Ibn-Hawwas. Dal 1081 al maggio 1089 rimane sotto la signoria di Ibn-el-Werd, Signore di Girgenti, Siracusa, Noto e Catania.
Le cronache dicono di lui che scannò i prigionieri e persino le suore di un convento trasse nello harem di Siracusa. Lo spavaldo arabo muore, annegato, combattendo contro il Gran Conte.
A questi succede l'emiro Al Qasim ibn-el-Hamud, l'ultimo Signore arabo di Naro. Anticamente isolato in un pianoro, domina tutta la città e la ferace vallata. Munito di alte mura, si articola intorno a un ampio cortile non accentrato e tutto intorno una serie di vani, un tempo adibiti a scuderie ed abitazioni degli armigeri.
È costruito con elementi decorativi in pietra da taglio a faccia vista. La torre quadrata rivestita con accurato paramento murario in conci squadrati, presenta sul lato N-E due belle bifore archiacute, le cui due colonnine di marmo sono state sottratte, con grave danno, perché, uniche finestre di epoca chiaramontana della prima metà del trecento, poggiate su una grossa cornice, che delimita i due ordini.
A mezzo di una scala rampante ed attraverso un bellissimo portale ogivale, artisticamente decorato con motivi chiaramontani, si accede al Salone della Torre, in altre parole alla cosiddetta Sala del Principe o dei Baroni, illuminata dalle bifore succitate, con copertura a botte a sesto acuto, formata da blocchetti di pietra arenaria, proveniente da una cava, da qualche tempo abbandonata, esistente in contrada Donato, rinforzata da un arco mediano traverso, sistemato su pilastri semicircolari a base semiottagonale e capitelli floreali.
Sopra di questa, salendo per una scala di pietra, vi è un perterra, ornato di muraglia merlata, ove nell'angolo di levante e mezzogiorno, vi era una garitta di guardia, la cui veduta si estendeva dall'Etna al mare Africano di Sciacca e tutt'intorno quasi all'infinito. Dichiarato Monumento Nazionale nel 1912 per opera del Comm. Dr. Domenico Riolo, per parecchi anni è stato adibito a carcere mandamentale.