Chiesa San Francesco
La chiesa e l'annesso convento di San Francesco furono fondati con dimensioni ridotte e strutture modeste nel 1229 da Rodorico Palmeri di Naro, dei Padri Conventuali dell'ordine dei Mendicanti, con un Breve Apostolico dal Papa Gregorio IX. Questi donò come reliquia un pezzo del cordone con cui San Francesco si cingeva la vita, due anni dopo la canonizzazione del "Poverello d'Assisi", lungo la strada degli allori (oggi Largo Milazzo), nel sito dove esisteva il "Fondaco delle olive", di grande importanza strategica poiché al centro del nucleo cittadino, in asse a nord con il castello e a sud con la porta di Girgenti.
La posizione è ideale per un controllo generale di tutta la città, e l'Ordine gradualmente aumenta la sua rilevanza economica e sociale. Alla fine del secolo XVI, i Francescani possederanno ben tre conventi: quello dei Minori Conventuali, quello dei Minori Osservanti a Santa Maria di Gesù e un secondo convento di Minori Conventuali a San Calogero. Nel secolo XVII, promuoveranno anche l'edificazione di un sobborgo fuori le mura.
Dopo quasi un secolo, per la povertà delle strutture, il convento fu ricostruito dalle fondamenta nel 1330 da Giovanni Chiaramonte, allora Signore di Naro. Subì varie modificazioni nei secoli XVII e XVIII. Oggi è Sede del Palazzo di Città, cui si accede dal severo chiostro settecentesco, con giardino con, al centro, un'artistica fontana e con atrio interno, costituito da pilastri portanti, con semicolonne addossate su cui poggiano eleganti arcate, ad una sola navata longitudinale, modulata lateralmente secondo un ordine di paraste addossate alle pareti, su cui, come una cornice, diparte la volta a botte. Ora si presenta come uno fra i tipici esempi del primo barocco siciliano, per volontà del P. Francesco Miccichè, provinciale e guardiano del convento francescano. Ha una nobile facciata in tufo giallino con manieristici intagli di esuberante gusto spagnolesco, entro un telaio di lesene di tipo cinquecentesco e coppie di cariatidi, che mostrano un eccentrico effetto plastico - chiaroscurale. Di grande interesse è la parte inferiore con il grande portale, fiancheggiato da coppie di cariatidi e sormontato dalla nicchia dell'Immacolata. La parte superiore è ornata da una grande finta finestra e da nicchie, ormai vuote, entro paraste cinquecentesche. Era sormontata da un artistico orologio a corda collocato nel 1896 per volontà del nobile Benedetto Contrino, allora Sindaco di Naro, con alcuni pilastri che ben si armonizzano con tutto il prospetto.
L'interno, ad unica navata con volta, presenta una ricca decorazione a stucco, eseguita da Francesco Santalucia e dal figlio Salvatore, indorata da P. Clemente da Bivona, religioso del medesimo ordine (1780). Questa decorazione si articola su due ordini divisi dal cornicione. La volta ha una pregevole decorazione a fresco dovuta al pennello di Domenico Provenzani, l'enfant prodige, figlio del falegname del Principe Don Ferdinando Tomasi di Lampedusa, allievo di Vito D'Anna e del Serenario, che nel 1780 dipinse lo scenografico affresco con il trionfo dell'Immacolata, di ispirazione dantesca, oltre ad altri quattro minori che coprono tutta la volta e che si ispirano al Vecchio Testamento.
Nella chiesa si conservano alcune pregevoli tele, tra cui lo Sposalizio della Vergine (transetto) ideato da Raffaello e realizzato a Roma nel 1780 dal trapanese Giuseppe Mazzarese. Chiude la cappella dove è custodita la splendida statua rococò dell'Immacolata, rivestita da una lamina d'argento, opera di Padre Melchiorre Milazzo ed opera egregia di maestranze maltesi (Carlo Troisi ed il figlio Paolo nella città di Valletta nel 1719).
Nel 1692, dietro sua richiesta, fu donata al popolo narese la sacra reliquia dell'osso omerale del protettore San Calogero, preso dal Monastero di San Filippo di Fragalà (ME) dei Padri Benedettini, da Silvestro Napoli Lanza, Barone di Longi (ME), conservata ancora oggi in un'artistica teca d'argento, squisitamente lavorata, nel Santuario di San Calogero. Ed è dovuta a P. Melchiorre Milazzo anche l'Immacolata di Vito d'Anna (sec. XVIII), oltre ai sei dipinti di Fra' Felice da Sambuca: Sant'Antonio, San Calogero, la Stigmatizzazione di San Francesco, Gesù Cristo con i SS. Lorenzo e Bartolomeo, la Buona e la Mala morte, opere della piena maturità dell'artista cappuccino.
Sempre a P. Melchiorre Milazzo è dovuto l'altare Maggiore, con scene dell'ultima cena e della Passione di Cristo, eseguito nel 1899 da Gaetano Vinci da Naro, ed anche gli stalli corali, opere di maestranze locali. Allo stesso committente si deve anche la costruzione (1707) e la decorazione (1721) della monumentale sacrestia che, recentemente restaurata, è uno degli ambienti più fastosi del barocco narese. Gli affreschi della volta con i quattro Evangelisti sono opera di D. Giuseppe Cortese da Venezia, mentre i prestigiosi armadi in noce, finemente intagliati ed arricchiti con numerose figure e sculture, le cui ante interne sono artisticamente dipinte, sono opere settecentesche di maestranze palermitane. Degno di nota è un lavabo rococò in marmo nero, opera di maestranze trapanesi, cui fa contrasto la bianca decorazione, pure marmorea, con la stigmatizzazione di San Francesco.
Si possono ammirare nel secondo altare a destra il corpo imbalsamato di Santa Colomba e nel secondo altare a sinistra quello di San Domizio Leopardo, che unitamente al corpo di San Torpedo (cfr. SS. Salvatore, pag. 72) sono particolarmente venerati dai numerosi pellegrini che vengono a Naro per la festa di San Calogero.
Accanto a P. Melchiorre e a Donna Felice, la sorella nubile e timorata di Dio, cui è dedicata la biblioteca comunale, si segnalò per meriti letterari anche il fratello Baldassare, pure conventuale minore a Roma. Due ritratti ad olio dei fratelli Melchiorre e Baldassare erano custoditi nei locali della Biblioteca "Feliciana", ma recentemente sono stati trafugati da ignoti. Ci restano, però, due erme collocate dentro nicchie nel chiostro (1763) dell'ex convento di San Francesco, oggi Palazzo di Città.
Fino al 1890, gli Uffici del Comune si trovavano nei magazzini affittati di D. Giuseppe Palmeri, siti nella via dei Monasteri, oggi Via Dante. Il convento, con verbale del 27 agosto 1890, fu acquistato dallo Stato per trasformarlo in sede del Comune. I lavori furono appaltati ai fratelli Giovanni e Giuseppe Saieva di Favara con atto n. 70 del 9 Maggio 1891. Dei preziosi cimeli conservati, si può ancora ammirare la pantofola sinistra di San Pio V, in broccato veneziano di velluto, seta ed oro, nonché arredi sacri in argento e ricchi paramenti, mentre la reliquia del cordone di San Francesco, tre statuette di alabastro sono state trafugate, unitamente ad altri preziosi oggetti.