Storia di Naro

Silhouette di Naro

Viale Umberto a Naro, anni 70Naro è una città della Sicilia, in provincia di Agrigento da cui dista 35 km. È situata a 593 m. di altitudine sulla cima di un colle isolato da tre lati. Dal suo ultimo censimento del 2021, la popolazione è di 7.051 abitanti. Confina con Canicattì, Ravanusa, Delia, Sommatino, Caltanissetta, Campobello di Licata, Palma di Montechiaro, Camastra, Favara, Agrigento e Castrofilippo. Naro è attraversata dal fiume omonimo. Ai piedi della città si estende la Valle Paradiso. Da queste sorgenti, a sud dell'abitato, ha origine il fiume Burraito che, dopo aver attraversato la serra di Furore, affluisce nel Naro. Lungo il corso di questi due fiumi, tra l'inizio degli anni '70 e la fine degli anni '80 del secolo scorso, sono stati realizzati gli invasi artificiali di «San Giovanni» e «Furore». L’agricoltura è la principale fonte di reddito della popolazione, si produce soprattutto: uva, agrumi, olive, mandorle, olio, sommacco, carrube, pistacchi e cereali. Le straordinarie ricchezze rappresentate dal ricco patrimonio artistico, storico e monumentale rappresentano altresì un solido fondamento per l'emergere di un promettente settore turistico, i cui successi iniziali sono già visibili.




Antina piantina di Naro Dalle origini al Medioevo
Con il ritrovamento di reperti archeologici rinvenuti nelle contrade Furore, Dainomeli, S.Gaetano, Ragamè e Castellaccio, viene attestata l’esistenza di insediamenti umani in epoche remotissime riferibile al periodo neolitico (4.500/3.500 a.C.) con il ritrovamento di tracce di basamenti di antiche capanne e numerose tombe a forno e ad anticella. Riguardo i primi abitatori dell’isola, secondo la leggenda, sarebbero stati i Giganti (di cui parlano la Genesi, Omero ecc.) e poi gli storici siciliani Fazello, Caruso e Pancrazio che ritengono che Naro sia stata edificata dopo il diluvio universale, sul monte Agragante dal nome del loro capo. Altra ipotesi, è che Naro sia stata fondata dai Sicani con il nome di Indara, come ritiene Placido Palmeri. Nel 1928 in contrada San Gaetano, in una grotta interrata, furono trovati una grande quantità di vasi siculi, di varie dimensioni e forme, sagomati a mano. Il termine Naro trova una sua corrispondenza nella lingua greca naron da narus forma aggettivale che significa fresco e scorrente, dal ruscello che scorre nella zona circostante. In tale area oggi nota come Contrada Canale e dove esiste una sorgente, un tempo sorgeva l’insediamento a Valle. Nel 839 d.C, Naro fu conquistata dagli arabi, i quali cancellarono l'insediamento a Valle e potenziarono quello in cima alla collina, lasciando il nome preesistente, dato che nella lingua araba esisteva un termine di suono e significato uguale: Naar. Alcuni studiosi, invece, rifacendosi all'attestazione del cosmografo arabo, hanno assimilato il termine Naru al significato di fiamma. Si ritiene che ne derivi dal dialetto punico e significhi fiamma.

Stemma della Città di Naro Questa ultima ipotesi trova un riscontro se si pensa allo stemma di Naro raffigurato da Tre Monti da cui fuoriescono fiamme ed anche all'epiteto Fulgentissima dato a Naro dall'imperatore Federico II nel 1233. Naro e il suo territorio, ben inseriti nella storia della Sicilia, sono stati meta di popoli e civiltà, la cui origine, confondendosi con il mito e la leggenda, si perde nella notte dei tempi. Naro ha avuto diversi nomi nel corso dei secoli: Agragante, Agragas Jonicum, Inico, Indara, Camico, Nahar, Mothyum, Corconia, Nar o Naro che sia stata, non scompare mai dalla storia, solo diminuisce d’importanza, per poi tornare “Aurea Fenice” a nuova vita. Il Cristianesimo in Sicilia si diffuse molto presto e anche a Naro, dove abbiamo le testimonianze riguardanti la vita della comunità cristiana nel periodo paleocristiano, con le sue Catacombe sviluppate in perfetta planimetria. Il primo a segnare le grotte cimiteriali di Naro fu il viaggiatore francese Jean Houel durante il suo viaggio nel 1777. La catacomba maggiore, chiamata “Grotta delle Meraviglie” è situata in contrada Canale ed è una delle catacombe rurali più regolari della Sicilia. Si estende nella collina rocciosa ed è costituita da un grande corridoio che si addentra per circa 20 m. Ha sette arcosoli a destra e altrettanti a sinistra. Ha infine una cinquantina di loculi. Abitata fin dal neolitico, fu dapprima sede di popolazione indigeni (Sicani), in seguito fu abitata dai Fenici e Cartaginesi, poi dai Greci ed in seguito dai Romani. Dopo il dominio romano, fu controllata dai Bizantini ed occupata dai Saraceni, per poi passare nelle mani dei Normanni, quindi occupata dagli Angioini, per poi passare sotto la signoria dei Chiaramonte, con cui conobbe un periodo di grande potenza militare e floridezza economica. Di seguito fu abitata dagli Aragonesi ed, infine, occupata dagli Spagnoli e dai Borboni. Nel 1234 Federico II di Svevia, Imperatore d’Occidente e Re di Sicilia, convocò a Messina un Generale Parlamento ed adornò Naro con il titolo di “Fulgentissima” e le assegnò, quale Città Parlamentare, il XVII posto del Braccio demaniale, che, con il Braccio Baronale e quello ecclesiastico, costituiva il Parlamento Siciliano, annoverandola fra le 23 Regie o “Parlamentarie” del Regno di Sicilia. Partecipò ai Vespri Siciliani, insorgendo il 3 Aprile 1282, quattro giorni dopo la rivolta di Palermo.

Mura antiche di Naro Il centro storico di Naro, malgrado le diverse devastazioni e rifacimenti, conserva alcune caratteristiche medievali. Presenta l’impianto delle città siciliane che ebbero origine in quell’epoca, presenta vie tortuose e strette, cortili e assenza di piazze, mentre le case sono basse, in forte contrasto con le imponenti strutture delle Chiese e del Castello. Il tutto racchiuso dentro le cinte murarie, di cui oggi rimane solamente la “Porta d’Oro”, una delle 7 entrate della città. Questa costituisce uno degli angoli più caratteristici della Naro medievale dove la semplicità dei conci che formavano il muro, l'arcata quasi a tutto sesto e il motivo di merli, richiamano la città medievale, arroccata sul colle e ben fortificata, che dall’alto domina le sue fertili terre. Da qui si gode un ampio squarcio panoramico verso la vallata nord.




Castello Chiaramontano di Naro, anni 70 I Conventi Mendicanti
Un ruolo di primo piano fu svolto da alcuni ordini religiosi: Francescani, Gesuiti e Domenicani, che cercarono di stupire con opere e edifici sempre più grandiosi. Questi si recavano a Roma per studiare per poi ritornare nella città natale per lavorarvi. Erano attenti alle decorazioni scultoree e ai dettagli architettonici. Una costante degli ordini mendicanti è la collocazione preferenziale dei loro conventi ai margini dell’insediamento urbano, preferibilmente nelle vicinanze di aree suscettibili di espansione, cinte murarie, porte e lungo le strade congiungenti il centro alle campagne circostanti. Anche Naro, come la maggior parte dei più importanti centri dell’isola, accoglie numerosi ordini mendicanti, offrendo loro la possibilità di condurre ed espandere l’attività religiosa, collegata spesso al controllo socio-economico di un determinato ambito urbano, ricevendone a sua volta notevole impulso nella crescita edilizia. Il primo ordine religioso che arriva a Naro è quello degli Agostiniani, alcuni eremiti della regola di Sant’Agostino, creata da Fulgenzo, Vescovo di Rigge, che, intorno al VI secolo, per sfuggire alla persecuzione dei Vandali, dalla vicina Africa, sbarcarono in Sicilia. Alcuni di essi si stabilirono in un piccolo romitorio a nord-ovest dell’attuale città. Nel 1117 viene fabbricato un nuovo convento, ancora di modeste dimensioni, dove attualmente sorge la Chiesa con quel che resta dell’antico Convento. Nel 1254 fu eretto il secondo Convento di Sant’Agostino dove nel 1808 fu trovata una torre di preguardia fatta costruire nel 1400. Nel 1617 venne ampliato. Alcuni anni fa parte del Convento è andato completamente distrutto. Della vecchia costruzione, il pezzo più interessante, rimane il pregevole portale dell’atrio incorporato nella sagrestia. Di decorazione finissima, con arco a sesto acuto e con colonnine di ordine corinzio che può risalire al 300’, ancora lontano dallo stile chiaramontano che influenzò tutto un secolo. Con l’apertura della porta S. Agostino viene realizzato un primitivo collegamento tra il convento ed il nucleo urbano. Il Convento di San Francesco, appartenente ai Padri Minori Conventuali, fu edificato nel 1229 da Rodorico Palmeri con Breve Apostolica da Papa Gregorio IX. Inoltre, il Papa diede loro come reliquia un pezzo del cordone, con cui San Francesco si cingeva la vita, due anni dopo la canonizzazione del “Poverello d’Assisi”. Alla fine del XVI i Francescani possederanno ben tre conventi: quello dei Minori Conventuali, quello dei Minori Osservanti a Santa Maria di Gesù e un secondo convento di Minori Conventuali presso la Chiesa San Calogero. Dopo quasi un secolo, il convento fu ricostruito dalle fondamenta nel 1330 da Giovanni Chiaramonte, allora Signore di Naro. Oggi è sede del Comune della Città di Naro, cui si accede dal Chiostro Settecentesco, con giardino e con al centro un’artistica fontana e con atrio interno, costituito da pilastri portanti, con semicolonne addossate su cui poggiano eleganti arcate, ad una sola navata longitudinale, modulata lateralmente secondo un ordine di paraste addossate alle pareti, su cui, come una cornice, diparte la volta a botte. Il convento, si collocava accanto la cinta muraria che plausibilmente percorreva a quell’epoca l’attuale via Vittorio Emanuele, e della quale determinarono l’ampliamento a valle. In questo modo si troveranno al centro del nucleo urbano, lungo l’asse trasversale che collega il castello alla porta Girgenti, incrementando di conseguenza la loro posizione preminente nei riguardi della collettività.




Piazza Garibaldi a Naro, anni 70

I Chiaramonte
Liberatasi dal dominio angioino, dopo una sanguinosa rivolta che il 3 aprile 1282 si conclude con l’uccisione del governatore Francesco Turpiano e di tutti i francesi che presidiavano il castello, Naro stabilisce di reggersi autonomamente sotto la guida del governatore narese Ognibene Montaperto. Agli inizi del XIV secolo, sotto il dominio aragonese, la rilevanza politica della città cresce a tal punto che dal castello lo stesso Re Federico II d’Aragona, nel 1309, promulga i 21 capitoli per il buon governo delle città. Di conseguenza viene rafforzato il sistema difensivo con la ristrutturazione della torre maggiore del castello, che porta effigiati lo stemma e le armi gentilizie degli aragonesi. Negli anni seguenti, tuttavia, nell’ambito di una più vasta politica di forti interessi economici determinati dalla rivendicazione dell’eredità sveva, si acuiscono le rivalità tra i maggiori esponenti della nobiltà feudale e pertanto i Ventimiglia, i Palazzi, i Chiaramonte, i Moncada e i Peralta diventano gli autentici protagonisti delle vicende storiche del tempo. La loro influenza sulla vita pubblica, sorta già durante il regno di Federico II e favorita dalla permissività del suo ordinamento amministrativo, aumenta dopo la morte del re, determinando alleanze finalizzate alla conquista di un sempre maggiore potere. Il dominio dell’isola viene pertanto conteso dai grandi feudatari e latifondisti di origine “catalana” e dai ricchi baroni locali esponenti della fazione “latina”, guidati dai Palizzi e dai Chiaramonte. Naro infatti, nel 1366, passa sotto la Signoria di Matteo Chiaramonte, la cui famiglia incise molto sulla storia della Sicilia e della città di Naro, per circa un secolo, rendendola fiorente, tanto da condividere la gloria e, anche, il destino avverso. Si aprono, pertanto, numerosi cantieri con i quali viene costruita la chiesa di S. Caterina, si definisce l’oratorio di S. Barbara, viene ampliato il Castello e probabilmente si restaura e ingrandisce la matrice, che sul finire del secolo ottiene dal Re Martino il titolo di Duomo. Gli studiosi attribuiscono la costruzione della Chiesa di Santa Caterina a Matteo Chiaramonte. Analizzando le strutture interne, c’è l’ipotesi che nello stesso luogo esisteva un tempio normanno che nell’intervento dei Chiaramonte fu inglobato, ampliato e arricchito di ornamenti.

Interno del duomo di Naro Il Castello, sotto gli Arabi prima, e sotto i Normanni e i Chiaramonte dopo, assunse non solo la difesa militare limitata alle esigenze locali, ma anche quello d’elemento fondamentale per la struttura e l’organizzazione territoriale. Anche il Duomo come del resto i maggiori monumenti della città, risentì dell’opera chiaramontana, soprattutto la facciata col suo stupendo portale che rappresenta uno degli esempi di raffinatezza e di preziosità formale raggiunta dall’arte chiaramontana. La fondazione di questa Chiesa è incerta. Rocco Pirro attribuisce la costruzione di questo edificio a Matteo Chiaramonte. Ma alcuni affermano che nello stesso luogo dovette già preesistere una moschea musulmana, trasformata in epoca normanna in chiesa cristiana. Nel 1377 viene costruita una nuova porta sul versante orientale delle mura, detta “Licata” dal nome della città che Manfredi Chiaramonte si apprestava a combattere, e alla fine del secolo l’ordine dei Benedettini fonda il monastero del SS. Salvatore. Il prestigio della città viene sancito nel 1375 quando Naro viene insignita del Priorato di San Giacomo D’Altopasso, con chiesa ed ospedale siti nella piazza del Mercato e dipendenti dall’ordine Agostiniano. Gli interventi edilizi del periodo chiaramontano rappresentano degli elementi basilari per lo sviluppo urbanistico della città: la chiesa di S. Caterina, l’unica sacramentale all’interno delle mura, diviene un riferimento materiale e spaziale per il posizionamento dei più importanti edifici religiosi; l’apertura di Porta Licata darà impulso all’espansione della città sul versante orientale, mentre la fondazione del monastero del SS. Salvatore, posto lungo l’odierna via Dante, determinerà l’accentuazione dell’asse longitudinale di attraversamento della città. Sul finire del secolo, tuttavia, si acuiscono i contrasti tra i Chiaramonte e la fazione catalana guidata dagli Alagona, che culminano con la decapitazione di Andrea Chiaramonte nel 1392 a Palermo. Naro, conquistata e data in feudo a Raimondo Moncada, conte di Agosta, si rivolge direttamente al re Martino per essere liberata dal suo dominio, ottenendo la reintegrazione tra le città demaniali sancita dai 15 capitoli dapprima accettati dal re il 12 febbraio 1396 e resi ufficiali nel Parlamento di Siracusa del 1398.




Sant'Agostino a Naro, anni 70 La crescita tra il 400 e il 500
Nel corso della seconda metà del XV secolo, ritrovata una certa pace interna, inizia a concretizzarsi il primo ampliamento della città, favorito dall’arrivo di altri due ordini mendicanti: i frati Minori Osservanti, che nel 1470 edificano il Convento e la chiesa di S. Maria di Gesù, e i frati Carmelitani, che dieci anni dopo fondano il convento e la chiesa del Carmelo a ridosso delle mura nei pressi della porta dell’Annunziata. Contemporaneamente si consolida la struttura difensiva – le mura vengono restaurate e fortificate nel 1482 – e si rafforza il potere politico-economico; nel 1489 la cittadinanza ottiene da Ferdinando II il Cattolico il privilegio di non essere governata da ufficiali stranieri e di eleggere le massime cariche amministrative – il Capitano, il Commissario e il Procuratore – tra gli esponenti della nobiltà cittadina. Il 10 Giugno del 1552 ottenne da Carlo V, per petizione presentata da Don Girolamo d’Andrea, nobile naritano, per premiare la Città di Naro dell’aiuto prestato contro i Turchi, il privilegio di essere dichiarata e chiamata “CITTÀ”, poiché fino a quel tempo si chiamava Terra del Demanio di Naro, unitamente al “Mero e misto impero”, che di fatto rende Naro indipendente – riguardo al potere giudiziario – al pari di città come Palermo e Messina. La nuova situazione politico-sociale si riflette sull’economia cittadina determinando un notevole sviluppo specialmente nel settore agricolo, favorito dall’intenso sfruttamento del vasto e fertile territorio della Comarca, che, nel 1552 si estende, nonostante la perdita delle terre del nuovo centro di Canicattì, per 9200 salme corrispondenti a circa 35000 ettari – divise in feudi appartenenti ai baroni, agli ordini religiosi e al demanio regio. Conseguentemente si verifica un consistente incremento demografico che nella seconda metà del XVI secolo, secondo frà Saverio, porta la popolazione a 18000 abitanti. L’espansione urbana nel corso del XVI secolo si realizza inizialmente mediante la costruzione di abitazioni isolate al di fuori delle mura, lungo le due opposte direttrici rispetto alla via Dante. In seguito tali abitazioni saranno sempre meno isolate; il 22 aprile 1551 infatti, il Tribunale del Real Patrimonio concede al Maestro P. Luigi La Grua, dell’ordine Agostiniano, il “privilegio di poter fabbricare case di abitazione in alcune salmate di terre, fondi propri del suo convento, come pure al convento S. Francesco gli diedero la facoltà di poter fabbricare fuor le mura, principiando dalla parte contigua della città fuor la porta della Licata”. Hanno così origine i due sobborghi di “S. Agostino” e di “S. Maria di Gesù”: il primo rappresenta il nucleo originario del tessuto edilizio residenziale che, ampliato nei secoli successivi, collegherà gli Agostiniani al centro cittadino; il secondo si realizza tra i conventi di S. Maria di Gesù e dei Carmelitani e dal 1575 si dilata ulteriormente verso valle con la costruzione delle case destinate ai colpiti dalla peste, dando origine al quartiere del “Lazzaretto”. Con la peste muoiono due terzi della popolazione assistita dai carmelitani e dai frati cappuccini che già nel 1551 si erano stabiliti, secondo le proprie consuetudini, lontani dal centro urbano, in un luogo denominato le “Grotte di S. Cataldo”.

San Calogero eremita Scrive fra Saverio che una delle “medicine” più salutari per la cura della peste fu “la protezione del glorioso S. Calogero Eremita ed Asceta di questa città”, implorato dal popolo con pubbliche processioni. Il miracolo e la conseguente pressione popolare determinano la concessione, da parte del Senato, della somma di 120 onze con la quale i Canonici regolari di S. Giorgio in Alga costruiscono una nuova chiesa dedicata a S. Calogero, in sostituzione di quella preesistente inglobata all’interno del collegio fondato nel 1542. Nel 1615 nel Parlamento Generale tenutesi a Palermo, ottenne il privilegio di essere nominata Capo Comarca, cioè sede giudiziaria e finanziaria, avente giurisdizione sulle terre e città di Canicattì, Campobello di Licata, Ravanusa, Palma di Montechiaro, Camastra, Favara, Racalmuto, Grotte e Delia.


L’impatto del Barocco
Il Seicento seguirà l'inizio della Naro moderna e le odierne via Dante e Via Lucchesi diventeranno il punto focale del tessuto urbano. Via Dante direttrice nel corso del secolo, diviene la strada più importante e, lungo il suo corso, si posizioneranno i più rilevanti edifici civili e religiosi della città. Il Barocco presenta, nell'edilizia di Naro, una sua fisionomia, caratterizzata dal movimento delle forme e dalla ricerca di effetti pittorici, che si esprime ora con un avvicendamento di piani, ora con una decorazione ed ornamentazione elaborate ricche e poliedriche. Non vi mancano forme di quell'artificio fatto di illusionismi e dotato pertanto di effetti di fascinazione, che si prestava a colpire e raggiungere il pubblico dei fedeli. Il Settecento, per Naro fu un periodo favorevole dal punto di vista sociale e culturale. Testimoni di questa felice congiuntura sono i palazzi e palazzetti Patrizi, ma anche gli edifici ecclesiastici che si ergono nella loro opulenza e maestosità. A quale grado di splendore e di opulenza salisse allora tra il Cinquecento ed il Seicento la città di Naro, difficilmente si potrebbe immaginare, se gli stupendi monumenti civili e religiosi, che di quella età in parte ci rimangono e le testimonianze di opere d'arte, non ne facessero indubitata fede. Oggi basta il ricco fregio sull'arcata di un portone o delle lesene lungo la facciata di un palazzo, oppure delle mensole con maschere grottesche a sostegno di un balcone, o ancora, una rosta con decorazioni a ricco fogliame in ferro battuto, per produrre nell'animo di chi guarda un improvviso tuffo nel passato, Palazzo Morillo, Palazzo Gaetani-Riolo, palazzo Tramontana ed altri che sarebbe troppo lungo enumerare, creano ancora oggi suggestivi angoli di una Naro barocca, la cui bellezza fascinatrice, spirante dalla nudità di quelle pietre secolari, immerge la fantasia nel flusso di lontane generazioni scomparse. Ma dove Naro si impone in tutta la sua fastosità barocca è nelle sue chiese monumentali, costruzioni imponenti per linee e movimento di masse, che arricchiscono le strade naresi di pittoreschi effetti scenografici. A Cesare Brandi il Barocco di Naro ricordò quello romano: "... Via Dante era un allineamento di chiese e conventi: tra la fine del Seicento e il Settecento, e di un barocco come mortificato, per nulla affine a quello di Noto o di Catania o di Palermo. Appena certi superstiti balconcini su una fila di mensole corte e ravvicinate, ricordano Noto o Aci Reale. Ma il barocco di Naro, forse attraverso le case generalizie romane, ha attinto direttamente a Roma, né, per quanto la sua pietra color miele non sia così tenera come a Noto e a Siracusa, ma neanche durissima, ha sviluppato una plastica di gusto barocco, con i suoi aggetti, le sue volute ridondanti. Il rilievo, a Naro, è schiacciato, per lo più, assai più grafico che plastico. A volte sembra come inciso nella pietra con un’unghia."